“La madre “sufficientemente buona” è quella
madre che sa concedersi di “regredire”
di diventare “piccola, piccola,” come il
suo bambino, per meglio potersi sintonizzare
su di lui, sul suo mondo interno e sui suoi
bisogni. In questo senso, la mamma “sciocca”
è la mamma che gioca con il suo bambino
godendo del gioco che lei fa con lui,
e più questo atteggiamento è presente ,
maggiormente ella è in empatia con
suo figlio e lui in sintonia con lei.
Questa sensibilità materna va a nutrire
lo sviluppo della mente dei bambini”
Donald Winnicott
Incontrare un bambino in un setting di psicoterapia e instaurare con lui una relazione terapeutica attraverso la magia del gioco, significa come dice Crocetti “giocare dentro l’esperienza essendone parte”, avere la possibilità di rientrare nel portale della fantasia, nel mondo del gioco, dove ogni pensiero e vissuto emotivo diventa possibile e pensabile. Significa anche incontrare una coppia-madre (Crocetti G.) e un padre nella realtà del momento, nella fantasia delle rappresentazioni interne del bambino e a sua volta incontrare il bambino nelle rappresentazioni interne dei genitori, passate e presenti.
Un incontro dove ogni comunicazione verbale e non, acquista un significata unico, vero, un pensare diverso, ricco di sfumature, un dialogo che il più delle volte va alla ricerca di autenticità, di sincerità, di libero sfogo emotivo, di confronto, di comprensione, nell’adulto, ma sopratutto per il bambino, quando la figura adulta ingabbia con regole troppo rigide o viceversa in assenza di regole o in assenza di un significativo rapporto emotivo tra madre e bambino/a e figura paterna.
Capita, a volte, che la crescita fisica e psicologica di un bambino avvenga in un ambiente “non sufficientemente buono”, come dice Winnicott, dove spesso regna l’intrusione massiccia di sentimenti e comportamenti ambigui e ambivalenti, dove ogni membro della famiglia è narcisisticamente immerso nei personali grovigli emotivi, carichi di violazione, usurpazione, disturbo, intromissione, interferenza, non riconosciuti e quindi non elaborati. Ciascuno e’ portatore di un modo di pensarsi che deriva da come e’ stato pensato in origine. Proiettati all’esterno, il più delle volte sono i bambini ad esserne travolti e coinvolti emotivamente, ed ecco che il disagio, un surplus di dosaggio emotivo, nel tempo può divenire un vero e proprio disturbo, portavoce di un sintomo della coppia, che in qualche modo rafforza un disagio di crescita proprio del bambino.
Le “collusioni patologiche ambientali” sono intrusive ed il bambino viene usato precocemente in funzione di queste collusioni che sono della coppia dei genitori.
Tali conflitti si esplicano in comportamenti finalizzati più a difendersi contro sentimenti depressivi che a entrare in relazione con il figlio in quanto persona.
I processi di identificazione costituiscono la trama che si intreccia in vari modi all’interno della triade, fra oggetti interni, parti di sé e oggetti reali di investimento.
(Palacio Espasa, 2002)
Questi contesti ad alta emotività espressa o negata, diventano luoghi mentali, modi di pensare, realtà attorno ai quali il bambino organizza la propria identità e le proprie emozioni, l’esperienza di Sé, che può divenire o diventare disfunzionale alla sua vera crescita emotiva e psicologica.
Il bambino può arrivare a soffocare quell’energia psicologica vitale (vero Sé) che se negata o strumentalizzata può portare a sintomi depressivi o comportamenti irruenti, irascibili e irrequieti, in tutti i contesti scolastici, famigliari, sociali.
Eugenio Gaburri parla del “fattore t” il fattore tenerezza. Un genitore può guardare il proprio bambino ed essere portato ad investirlo massicciamente con le sue fantasie e proiezioni. Se però il genitore si arresta per un attimo, può riuscire a vedere il proprio bambino non secondo le sue fantasie e proiezioni, ma nei suoi modi spontanei di essere bambino. Nel primo caso, il genitore ha derubato il bambino di qualcosa e sarà conseguentemente portato a colmarlo di smancerie riparatorie. Nel secondo caso, nascerà in lui un sentimento di tenerezza. Il “pensatore responsabile” introduce nel pensiero questa “tenerezza”. Egli sperimenterà empatia per la persona alla quale comunicherà i suoi pensieri, e il bambino sentirà di essere pensato e tenuto in mente.
In psicoterapia il gioco diventa un sogno ad occhi aperti dove i pensieri e le parole cariche di emozioni, trovano un luogo dove poter essere. Il gioco infantile come attività sublimata, è un’espressione simbolica di angosce e desideri. Ed ecco che da un foglio bianco prende forma un guerriero che va alla ricerca di giustizia, un orso che vorrebbe solo tanta dolcezza e comprensione o viceversa un mostro carico di tanta distruttività e rabbia, una casa bianca lasciata sola, un albero spoglio, un groviglio di cerchi colorati, un super eroe che vorrebbe soltanto essere se stesso.
L’aggressività, insieme a tutte le emozioni, è espressa in vari modi, direttamente o indirettamente. Come dice la Klain, spesso vien rotto un giocattolo o, quando il bambino è più aggressivo, capita che assalga con un coltello o con le forbici la tavola o pezzi di legno, spruzzi intorno i colori, e la camera, in genere, diventi un campo di battaglia. È essenziale mettere il bambino in grado di manifestare la sua aggressività, ma quel che più conta è capire perché, in quel particolare momento, nella situazione di transfert affiorino impulsi distruttivi e osservare le loro conseguenze nella mente del bambino, anche in questo caso il compito dell’analista è quello di osservare, comprendere e comunicare al bambino ciò che avviene in lui, senza esprimere valutazioni morali e senza voler esercitare alcun ruolo educativo nei suoi confronti. Sentimenti di colpa possono manifestarsi subito dopo che il bambino ha rotto, per esempio, una figurina. Tale colpa si riferisce non solo al danno fatto, ma anche a ciò che il giocattolo rappresenta nell’inconscio del bambino, per esempio un fratellino, una sorellina o un genitore. A volte possiamo dedurre dal comportamento del bambino verso l’analista che non solo la colpa, ma anche l’ansia per timore di persecuzione è stata la conseguenza dei suoi impulsi distruttivi e che egli è spaventato dalla rappresaglia.(Klain)
Il senso di persecuzione può essere così forte da coprire sentimenti di colpa e di depressione, anche essi suscitati dal danno prodotto. Oppure la colpa e la depressione possono essere così forti da portare a un rafforzamento dei sentimenti persecutori. Come piccoli maghi o apprendisti scienziati, trasformano le cose in torno a loro cercando di dare senso ad una realtà che a volte diventa troppo incomprensibile, troppo difficile da affrontare, un mondo alieno dove non riescono a decodificare i messaggi che adulti o coetanei inviano, sentendosi incompresi, smarriti, fragili, impacciati, disorientati, impauriti, ribelli, provocatori.
Allora il gioco con tutte le sue sfaccettature, diventa un palcoscenico che fa da ponte e permette seduta dopo seduta di ricollegare e sintonizzare gli affetti (Stern,1989) e le emozioni, di superare o gestire al meglio le paure cariche di persecuzione e sensi di colpa, ridiventando padroni di esprimerle, vivendole nel modo consono alla propria età e riprendendo quel codice comunicativo infantile, verbale, non verbale e corporeo, che permette di entrare in relazione con il mondo e metaforicamente parlando, riprendere a respirare.
Il gioco è, per Winnicott, sempre un’esperienza creativa e la capacità di giocare in maniera creativa permette al soggetto di esprimere l’intero potenziale della propria personalità, la continuità di essere ed esistere (D. Winnicott), “grazie alla sospensione del giudizio, a una tregua dal faticoso e doloroso processo di distinzione tra sé, i propri desideri, e la realtà, le sue frustrazioni”. In questo modo, attraverso un atteggiamento ludico verso il mondo, e solo qui, in questa terza area neutra e intermedia tra il soggettivo e l’oggettivo, può comparire l’atto creativo, che permette al soggetto di trovare se stesso, di essere a contatto con il nucleo del proprio Sé, di essere spontaneo.
Conclusioni
Il gioco in generale, e ancora di più in psicoterapia ha un importanza fondamentale nella crescita psico-fisica del bambino, nel gioco si imparano le regole della vita, è utile per gestire e dominare, elaborare eventi traumatici, favorisce lo sviluppo del linguaggio, sviluppa, consolida, conoscenze e abilità (fisiche, mentali, emotive e sociali) è un trampolino di lancio che permette al bambino di affrontare, attraverso il simbolico che è nel gioco, il significato del mondo, gli permette di modulare e di esprimere al meglio l’ansia e l’angoscia legate alle fasi di sviluppo psicofisico, gli ostacoli che giorno per giorno si incontrano nella relazioni con genitori e coetanei, quindi di gestire al meglio la realtà che in modo graduale prende spazio rispetto alla fantasia.
Riferimenti Bibliografici
Crocetti G. “Legami Imperfetti”, Armando Editore, Roma, 1997
Crocetti(2013) lezioni Corso di “Alta Formazione in Psicoterapia Psicoanalitica per l’Infanzia e l’Adolescenza”, Modulo Infanzia, Roma
Eugenio Gaburri (2015) Il fattore T in psicoanalisi. La tenerezza nel lavoro di Eugenio Gaburri, Borla , 2015
M. Klein, La tecnica psicoanalitica del gioco: sua storia e suo significato, II-III
Palacio Espasa 2002, Agli albori della vita psichica: le identificazioni precoci con aspetti terapeutici o rifiutanti della madre.
Stern D.N., Il mondo interpersonale del bambino, Bollati Boringhieri, Torino, 1987
Stern D.N., Le prime relazioni sociali: il bambino e la madre, Sovera Multimedia, Roma, 1989
Winnicott D. W., Sviluppo affettivo e ambiente, A. Armando, Roma, 1970
Winnicott D. W., La famiglia e lo sviluppo dell’individuo, A. Armando, Roma, 1968
Winnicott D. W, Gioco e realtà, A. Armando , 2005
Winnicott D. W., Sviluppo affettivo e ambiente, A. Armando, Roma, 1970