“Sempre più il viaggiatore sentiva svanire il proprio confine fra il proprio mondo interno e l’esterno, fra ciò che era lui stesso a creare e quello che realmente gli stava dinanzi, finché non riuscì più a distinguere l’uno dall’altro e iniziò ad avvertire il proprio animo come un qualcosa di esterno e le cose esterne come il suo mondo interno”.
Michael Ende, Lo specchio nello specchio
Il testo che mi accingo a scrivere riguarda una breve riflessione su il viaggio psicoterapeutico, in un setting privato, che tanti anni fa , ho avuto l’onore di fare con una paziente con organizzazione Borderline di personalità vicino all’area psicotica La paziente presentava una sintomatologia di base molto varia: mancanza di tolleranza dell’angoscia, ad un’angoscia transitoria di frammentazione, crisi acute di panico o di imminente catastrofe, mancanza di controllo degli impulsi, fenomeni patologici narcisistici (perdita del senso di sé, fragile autostima, stati depressivi, distorsioni del carattere, agiti autodistruttivi: taglio dei polsi); sintomi bizzarri (abbondanti processi primari di pensiero, deliri)
Il doloroso conflitto interno veniva esternalizzato in relazioni oggettuali burrascose e distruttive, attraverso meccanismi di difesa primitivi quali la proiezione, identificazione proiettiva, la scissione, la svalutazione, l’onnipotenza, l’idealizzazione primitiva,relazioni di oggetto patologiche interiorizzate. Queste difese primitive erano associate con una ” debolezza non specifica dell’Io” come la mancanza di controllo degli impulsi, l’incapacità di tollerare l’ansia o di usare la sublimazione come un significativo canale di gratificazione o scarica. Mi torna in mente Kohut riguardo la mancata introiezione di un oggetto-Sé9 [1](kohut, 1977; 1984) contenitivo, calmante che impedisce la formazione di una rappresentazione mentale, che catturi stabilmente le esperienze positive di accudimento e consenta di sopportare le ansietà di separazione attraverso risorse intrapsichiche; ne deriva al soggetto un profondo vuoto interno, una solitudine. (Adler, 1985).
La mancanza o l’assenza di una costanza di oggetto rassicurante che tenga la struttura psichica della paziente nei momenti di frustrazione o di intenso dolore contribuisce in modo significativo a determinare la sua intolleranza alla separazione e alla solitudine e basta un nulla per mandare in crisi questa fragile identità, in un’esperienza e immagine di sé caratterizzata da incoerenza e discontinuità che riesce a percepirsi viva solo attraverso il dolore dei tagli. “Il trattamento psicoterapeutico, per i fini che si propone, per le modalità attraverso le quali si attua, per il tempo che richiede, ha tutte le caratteristiche di un’evoluzione, di un processo.
Un processo che procede per gradi, con lunghi momenti di pause dove il tempo sembra fermarsi in un graviglio di emozioni travolgenti,impetuose o mutacee, silenziose, dove ogni ricordo presente e passato irrompe per cercare e creare ascolto, un ascolto negato che appartiene ad un tempo passato(il corsivo è mio). La mancanza nella paziente della suggestiva metafora della sintonizzazione che avviene (Stern; 1985) tra madre e bambino con la sua funzione di holding valorizzando la significatività del senso di sé e della sua esperienza in una dimensione spazio-temporale tra passato e presente significativa si esprimeva in una teatralità dirompente.
Questa mancanza di continuità del Sé emergeva anche dai cambiamenti sostanziali nelle modalità con cui di settimana in settimana, ma anche tra una seduta e l’altra la paziente si presentava in seduta: un’estrema rigidità difensiva, l’emergenza precoce di materiale arcaico, la manifestazione di reazioni transferali primitive e “un rapido, se non euforico, miglioramento”. [2]
Il tempo dell’analisi è, contemporaneamente, presente, passato e futuro. E’ presente, come situazione nuova, come relazione con una persona il cui atteggiamento è essenzialmente differente da quello degli oggetti della storia del paziente, ma nel contempo è passato, perché l’analisi è fatta per consentire al paziente la libera ripetizione di tutte le situazioni conflittuali della sua storia. E’ stata questa ambiguità temporale, questa mescolanza di presente, passato e futuro,in un contesto protetto qual’è la psicoterapia, che ha permesso alla paziente non solo di prendere coscienza della propria storia ma anche di ri-significarla retroattivamente.
Le situazioni traumatiche, una volta riprese, rielaborate e reintegrate in una prospettiva temporale differente, cessano di essere percepite come un carico impossibile da modificare, al quale bisogna rassegnarsi. (W. Baranger, 1961-1962). Qualunque sia l’ideologia, la strategia e il modello a cui si ispira lo psicoterapeuta, il compito fondamentale della psicoterapia è “far procedere” il paziente verso la crescita, la maturità, la verità, e il benessere. Promuovere la ripresa del percorso evolutivo personale, che nel paziente si è arrestato per le vicende della propria storia, e per i problemi e conflitti da essa derivati, a cui sono state date soluzioni fallaci, illusorie, velleitarie, e perciò inadeguate. Il paziente, attraverso una nuova conoscenza di sé, perseguirà ciò che potrà riconoscere come possibile, vero e sicuro per sé stesso, e si esprimerà nel reale come persona libera, capace di amare e di creatività, ma anche preparata e temprata a soffrire”- [3]
Importante è il ruolo di testimone del terapeuta, capace di ascoltare le storie e di comprendere le difficoltà incontrate. Questo ruolo di testimone, inteso, come qualcuno in grado di cogliere e di riconoscere l’impatto emotivo dell’autoesplorazione del paziente nell’immediatezza del momento, ma che nello stesso tempo rimane presente senza l’offerta intrusiva di una supposta saggezza.” “Lo stato della mente ottimale per i terapeuti si realizza quando si lasciano “risucchiare” nel mondo del paziente, mantenendo nello stesso tempo la capacità di osservare ciò che sta accadendo davanti ai loro occhi”. [4]
Noi serviamo al paziente in diverse funzioni, come autorità e sostituto dei genitori, come maestro e come educatore; tuttavia gli rendiamo il servizio migliore in qualità di analisti. (Freud1938) Il setting può essere descritto anche come un contenitore (rappresentato dall’analista e dalla situazione analitica) che comprende, contiene ed elabora le angosce del paziente fintanto che questi non ha acquisito la capacità di assumersi questa funzione autonomamente. (Bion,1967b) Il contenimento ha notevoli analogie con la funzione materna, ma l’assetto relazionale analitico non deve limitarsi solo a questo. Deve essere uno spazio (Gaburri, De Simone Gaburri, 1976), ampio, in cui possono esprimersi e trovare comprensione tutte le parti del paziente.
La relazione terapeutica deve comprendere non solo la relazione di transfert dell’analisi classica, ma allo stesso tempo un rapporto reale con il paziente, che miri a promuovere la crescita e la liberazione della persona; il successo dell’analisi non dipende soltanto da un’esatta applicazione delle teorie psicoanalitiche, ma piuttosto dalla personalità del paziente e del terapeuta, il quale non è concepito come semplice specchio, ma deve invece essere disponibile al rapporto personale, che il paziente ha bisogno di avere. (Fairbairn, 1958; Guntrip,1961) Bion (1970) diceva che la psicoanalisi deve operare nell’ambito del senso, del mito, e della passione. Nel rapporto umano deve essere presente il corpo tramite i sensi, e deve essere presente l’emozione, che scaturisce dal modo con cui mente e corpo vivono insieme l’esperienza del rapporto.
Alla luce di quanto detto, il setting in un contesto psicoterapeutico diventa un grande contenitore che può deformarsi continuamente, ciò che deve restare coerente è il setting interno del terapeuta, che non deve essere né ambiguo, né variabile, né alterato. In tale ottica la capacità del terapeuta di “difendere” il setting è proporzionale alla chiarezza di definizione e strutturazione mentale del proprio setting interno.
NOTE
[1] Il termine oggetto-Sé si riferisce all’esperienza che il bambino condivide con la persona che fin dall’inizio lo accudisce, come se fosse un’estensione della propria realtà psichica, una parte del proprio sistema del Sé, non un oggetto in relazione con il soggetto
[2] Stone, M.H.(1977) The Borderline syndrome: evolution of the term, genetic aspects, and prognosis. Am. J. Psychother., 31,p.345 1 Concetto basilare del pensiero di Gaddini (1989), esso va inteso non in senso banalmente evoluzionistico, bensì come un concatenarsi di eventi che vanno organizzandosi nella mente e che acquistano progressivamente senso e significato dal corporeo al mentale, dalla fusionalità all’oggettualità, secondo una modalità per cui i livelli più arcaici continuano a coesistere e interagire con quelli più maturi nella dimensione del rapporto, motore costante di ogni conoscenza e di ogni trasformazione con le figure significative dell’infanzia come nella specificità del rapporto analitico
[3] Semi A.A (1988) Trattato di psicoanalisi Vol. I Teoria e tecnica, editore Raffaello Cortina, Milano 3 Poland, W.S. (2000) ” The analyst’s witnessing and otherness” In J. Am.Psychoanal. Assoc., 48, pp 16-35 Tr. in Gabbard G. O. (2005) Introduzione alla psicoterapia psicodinamica, Raffaello Cortina Editore, Milano
[4] Gabbard,G.O., Wilkinson, S.M.(1994) Management of Countertransference with Borderline Patients. American Psychiatric Press, Washington (DC), London Tr in “Il disturbo Borderline” in Psicoanalisi e psichiatria a cura di G. Berti Ceroni, A Correale 1999 Raffaello Cortina Editore Bion W.R. (1970) Attenzione e interpretazione. Armando , Roma, 1973.
Bion ritiene che l’analista, per raggiungere l’insight, deve rendere opachi memoria e desiderio, suggerimento perturbante, nella misura in cui spinge a indebolire le resistenze dell’analista verso le proprie parti psicotiche, che debbono poter far entrare nel Io i loro prodotti (elementi Beta) attraverso una breccia per la quale potranno passare anche i ” pensieri veri”. Bion dice “Mi riferisco alla capacità negativa, cioè a quella capacità che un uomo possiede se sa perseverare nelle incertezze, attraverso i misteri e i dubbi, senza lasciarsi andare a una agitata ricerca di fatti e ragioni”
Bibliografia
Kohut, H. (1977), La guarigione del Sé Tr.it Boringhieri, Torino 1980 Kohut, H. ( 1984), La cura psicoanalitica Tr.it.Boringhieri, Torino 1986 Adler, G.(1985), Borderline Psychopathology and its Treatment. Jason Aronson, Northvale(NJ) Stern , D.N. (1985), The Interpersonal World of the Infant. Basic Books, New York. Tr. It. Il mondo interpersonale del bambino. Bollati Boringhieri, Torino 1987.
In ” I modelli dei casi-limite” Trattato di Psicoanalisi di A. Semi II. Volume Clinica 1989 Raffaello Cortina, Milano Baranger, W. Baranger, M (1961-1962), La situazione psicoanalitica come campo bipersonale .Raffaello Cortina Editore, 1990 Freud, S.(1938)Compendio di psicoanalisi. OSF, vol.11 Bion, W.R. (1967b), Notes on Memory and Desire Tr. it in: Psychoanal. Forum, 2 p. 3 Gaburri, E., De Simone Gaburri, G.(1976), Realtà psichica e setting psicoanalitico. Riv. Psicoanal., 22, 2 p. 191 Fairbairn, W.R.D. (1958) On the nature and aims of psychoanalytic treatment. Int. J. Psycho-Anal., 39, p.374 Guntrip, H.(1961), Personality Structure and Human Interaction. The Hogarth Press, London. Tr. it Struttura della personalità ed interazione umana. Boringhieri, Torino, 1971. Bion, W.R. (1970), Attenzione e Interpretazione.
Una prospettiva scientifica sulla psicoanalisi e sui gruppi. Armando, Roma 1973. In Antonello Correale ” la Noia: mancanza o rifiuto?” Centro di Psicoanalisi Romano -Convegno” Le emozioni del Vivere” 26 novembre 2005